Cara
beltà che amore Lunge m'inspiri o nascondendo il viso, Fuor se
nel sonno il core Ombra diva mi scuoti, O ne' campi ove splenda Più
vago il giorno e di natura il riso; Forse tu l'innocente Secol
beasti che dall'oro ha nome, Or leve intra la gente Anima voli? o
te la sorte avara Ch'a noi t'asconde, agli avvenir prepara? Viva
mirarti omai Nulla spene m'avanza; S'allor non fosse, allor che
ignudo e solo Per novo calle a peregrina stanza Verrà lo spirto
mio. Già sul novello Aprir di mia giornata incerta e bruna, Te
viatrice in questo arido suolo Io mi pensai. Ma non è cosa in
terra Che ti somigli; e s'anco pari alcuna Ti fosse al volto, agli
atti, alla favella, Saria, così conforme, assai men bella. Fra
cotanto dolore Quanto all'umana età propose il fato, Se vera e
quale il mio pensier ti pinge, Alcun t'amasse in terra, a lui pur
fora Questo viver beato: E ben chiaro vegg'io siccome ancora
Seguir loda e virtù qual ne' prim'anni L'amor tuo mi farebbe. Or
non aggiunse Il ciel nullo conforto ai nostri affanni; E teco la
mortal vita saria Simile a quella che nel cielo india. Per le
valli, ove suona Del faticoso agricoltore il canto, Ed io seggo e
mi lagno Del giovanile error che m'abbandona; E per li poggi, ov'io
rimembro e piagno I perduti desiri, e la perduta Speme de' giorni
miei; di te pensando, A palpitar mi sveglio. E potess'io, Nel
secol tetro e in questo aer nefando, L'alta specie serbar; che
dell'imago, Poi che del ver m'è tolto, assai m'appago. Se
dell'eterne idee L'una sei tu, cui di sensibil forma Sdegni
l'eterno senno esser vestita, E fra caduche spoglie Provar gli
affanni di funerea vita; O s'altra terra ne' superni giri Fra'
mondi innumerabili t'accoglie, E più vaga del Sol prossima stella
T'irraggia, e più benigno etere spiri; Di qua dove son gli anni
infausti e brevi, Questo d'ignoto amante inno ricevi.
Parafrasi
Cara
beltà, che da lontano mi ispiri amore oppure da vicino
nascondendo il viso tranne quando mi scuoti il cuore nel sonno
come divina immagine, apparizione celeste, o nei campi là dove più
splendido risplende il giorno e il riso della natura, dove si può
trovare ancora la facoltà perduta delle illusioni; forse tu ha
rallegrato il secolo che prende nome dall'oro mentre ora voli tra
la gente leggera come un'anima? o proprio te prepara il destino
avaro, che ti nasconde ai nostri occhi, a coloro che verranno?
Nessuna speranza ho ormai di ammirarti viva, se non forse quando
nudo e solo dopo la morte il mio spirito, libero del corpo, per un
nuovo sentiero, cercherà la sua nuova dimora. Già sul primo
cominciare di questa mia esistenza incerta e dolorosa, immaginai
di avere te come compagna di viaggio in questo arido mondo. Ma su
questa terra non c'è nulla che ti somigli; e se anche qualcuna
fosse pari a te nel volto, negli atti, nella parola, sarebbe, pur
così simile a te, assai men bella. Eppure, fra tanto dolore,
quanto agli uomini ha destinato e prescritto il fato, se qualcuno
t'amasse su questa terra così vera e come il mio pensiero ti
immagina, per costui questa vita sarebbe beata; e ben chiaramente
vedo che l'amore che ti porto mi farebbe ancora seguire lode e
virtù come nei primi anni della mia vita. Ma il cielo non ha
voluto aggiungere alcun conforto ai nostri affanni; e con te la
vita mortale sarebbe simile a quella che nel cielo rende i beati
partecipi di Dio. Per le valli, dove risuona il canto
dell'agricoltore oppresso dalla fatica (e l'agricoltore
rappresenta simbolicamente la dolorosità dell'esistenza umana),
mi siedo e mi lamento del giovanile errore che m'abbandona,
l'errore di coltivare le illusioni; e per i poggi, dove io ricordo
e piango i perduti desideri e la perduta speranza dei giorni miei;
pensando a te, mi sveglio palpitando. E potessi io in questo
secolo tetro e oscuro e in questa epoca nefanda che ignora ogni
ideale, conservare dentro di me la tua nobile immagine; perché
dell'immagine sola mi potrei anche appagare, dopo che quella reale
e vera mi è tolta dal destino. "Ma se non è vero che tu sia
stata mai viva, neppur nell'età dell'oro, o che ti debbano
incontrar sulla terra neppur gli uomini che verranno, nel tempo
futuro (De Robertis)", e sei una delle eterne idee che Dio
(eterno senno) sdegna, facendola restare pura immagine, di
rivestire di una forma sensibile e visibile, di un corpo terreno e
corruttibile che prova gli affanni dolorosi di una vita mortale;
oppure se ti accoglie un'altra terra, un altro pianeta fra gli
infiniti mondi dell'universo che costituiscono i superni giri (le
lontane galassie) e ti illumina una stella vicina più splendente
del Sole e su quella terra spiri un'aria più benigna, ricevi
questo inno di ignoto amante da questa terra in cui il corso della
vita è breve e infausto e gli anni, nel loro rapido scorrere
rendono più inutile lo stesso dolore umano.
Commento
e cenni storici
Giacomo
Leopardi, grande poeta e filosofo italiano, nasce nel 1798 a
Recanati da una famiglia dalle agiate condizioni economiche,
conducendo una vita impregnata di tristezza, malinconia e
pessimismo. Il suo rapporto con i genitori non fu affatto uno dei
più felici: il padre, unico maschio di una dinastia in rapido
declino, dava più attenzione alla propria libreria che ai figli,
mentre la matrigna era più impegnata a far tornare i conti del
bilancio famigliare piuttosto che a spendere del tempo con i suoi
figliastri. Nel 1807 il piccolo Giacomo e i suoi tre fratelli
vengono affidati a due frati affinché ricevano una formazione
degna per la società aristocratica del tempo: trovando come unica
consolazione a questa vita fatta di sofferenze nell'amore per lo
studio, si chiude fin dalla tenera età nell'immensa libreria
paterna, che gli donerà la perfetta padronanza di ben sei lingue,
nelle quali erano addirittura comprese il latino e il greco. Non
avendo amici ed alcun confidente, passa il suo tempo sui libri
diventando gobbo e rachitico, meditando nella più totale
solitudine, che lo porterà a comporre bellissime poesie
ispirandosi a ciò che vede e sente in tutto quello che lo
circonda. Leopardi viene collocato colla sua poesia nel periodo
romantico, e possiamo godere di uno dei suoi componimenti mediante
l'analisi della poesia “Alla sua donna”, dedicata al suo
ideale di donna che s'impersona con il concetto di bellezza e
purezza più vera. Alla maniera degli stilnovisti egli paragona la
donna ad un “essere celeste”, condannato a restare lassù nel
cielo, lontano dagli uomini che a lungo la hanno desiderata.
Concetto chiave dell'intera poesia leopardiana è rappresentato
dalla natura “maligna”, la quale continuamente ruba all'uomo
le illusioni che gli offre nell'età giovanile, conducendolo in
una dimensione esterna al mondo stesso, dove potrà morire
consumato dalla malinconia. Quest'idea della natura maligna
compare nuovamente nella poesia “A Silvia”, suo componimento
più famoso dedicato alla fanciulla da lui amata. Come tutti gli
innamorati anche Leopardi non riesce a trovare nessuna fanciulla
che possa superare la sua donna amata in bellezza (anche perché
come abbiamo già detto rappresenta la bellezza in persona) ed
immagina che la vita di un qualsiasi uomo, venuto a contatto con
un essere così straordinario, diventerebbe immediatamente beata,
sgombra da preoccupazioni ed incertezze. Notiamo quindi una nuova
nota pessimistica del poeta che evidenzia per l'ennesima volta la
condizione d'infelicità dell'uomo, contrapponendo la bellezza che
felicita la vita dell'essere umano con l'impossibilità da parte
di quest'ultimo di riceverla: l'uomo viene dunque condannato a
scontare esclusivamente sofferenze e dolori durante questa vita
terrena. Se ne deduce in conclusione che il poeta ha una visione
decisamente pessimistica dell'amore e che per esso viene inteso
solamente come un altro dolore da scontare durante la propria
esistenza. |