Biografia
incerta. Scarse e incerte sono le notizie su C., di cui non ci è
giunta alcuna biografia antica: i suoi carmi restano la fonte
principale per la conoscenza della sua vita, se non proprio per le
indicazioni più strettamente biografiche e cronologiche (di cui
praticamente sono privi), almeno per ricostruirne e comprenderne,
in generale, personalità e stati d'animo. La formazione e
l'ingresso nel bel mondo romano. C. proveniva - come altri
neoteroi - dalla Gallia Cisalpina (ovvero, dall'Italia
settentrionale) e apparteneva ad una famiglia agiata: suo padre
ospitò più di una volta Cesare nella loro villa a Sirmione,
sulle rive del Lago di Garda (come c'informa Svetonio).
Trasferitosi a Roma (intorno al 60) per gli studi, secondo la
consuetudine dei giovani di famiglie benestanti, C. trovò il
luogo adatto dove sviluppare le sue doti di scrittore: trovò,
infatti, una Roma nel pieno dei processi di trasformazione (la
vecchia repubblica stava vivendo il suo tramonto), accompagnati da
un generale disfacimento dei costumi e da un crescente
individualismo che caratterizzava le lotte politiche, ma anche le
vicende artistico-letterarie. Entrò a far parte dei "neóteroi"
o "poetae novi" ed entrò in contatto anche con
personaggi di notevole prestigio, come Quinto Ortensio Ortalo,
grande uomo politico e oratore, e Cornelio Nepote. Tuttavia, C.
non partecipò mai attivamente alla vita politica, anche se seguì
sempre con animo attento o ironico o sdegnato i casi violenti
della guerra civile di quegli anni (non mancò di attaccare
violentemente Cesare e i suoi favoriti, specialmente il "prefectus
fabrum" Mamurra: ma Cesare seppe riconquistarlo…). Di
contro, nella capitale, un giovane come lui - esuberante e
desideroso di piaceri e ddi avventure - si lasciò prendere dal
movimento, dal lusso, dalla confusione, dalla libertà di costume
e di comportamento pubblico e privato, che distingueva la vita
della città in quel momento. Tuttavia, la sua anima conservò
sempre i segni dell'educazione seria, anzi rigorosa, ricevuta
nella sua provincia natale, famosa per l'irreprensibilità morale
dei suoi abitanti. L'incontro con Lesbia-Clodia. C. è stato
definito, a buon diritto, come il poeta della giovinezza e
dell'amore, per il suo modo di scrivere e di pensare: il tema
principale della sua poesia è Lesbia, la donna che il poeta amò
con ogni parte del suo corpo e della sua anima, conosciuta nel 62,
forse a Verona, più probabilmente nella stessa Roma. Il vero nome
della donna era Clodia, come ci rivela Apuleio nel "De
magia" (chiamata Lesbia, "la fanciulla di Lesbo",
perché il poeta implicitamente la paragona a Saffo, la poetessa e
la donna amorosa appunto di Lesbo), identificabile con la sorella
del tribuno della plebe (58) P. Clodio Pulcro (agitatore del
partito dei "populares" e alleato di Cesare, nonché
mortale nemico di Cicerone), e moglie - per interesse - del
proconsole per il territorio cisalpino (tra il 62 e il 61) Q.
Metello Celere. Una storia difficile. La storia fra il poeta e
Lesbia è molto travagliata: Clodia era una donna elegante,
raffinata, colta, ma anche libera nei suoi atteggiamenti e nel suo
comportamento: nelle poesie di C. abbiamo, così, diversi accenni
allo stato d'animo provato per lei, a volte di affetto e amore, a
volte di ira per i tradimenti di lei: tutto, fino all'addio
finale. Il lutto familiare e la crescente delusione d'amore: il
viaggio in Oriente. C. era a Roma, quando ebbe la notizia della
morte del fratello nella Troade. Tornò a Verona dai suoi e vi
stette per alcuni mesi, ma le notizie da Roma gli confermavano i
tradimenti di Lesbia (ora legata a M. Celio Rufo, quello stesso
che Cicerone difese nella "Pro Caelio", rappresentando
Clodia come una mondana d'alto rango, viziosa e corrotta). Il
poeta fece così ritorno nella capitale, sia perché non riusciva
a star lontano dalla vita romana, sia per l'ormai insostenibile
gelosia. Deciso, infine, ad allontanarsi definitivamente da Roma,
per dimenticare le sofferenza e riaffermare il proprio patrimonio,
il poeta accompagnò, nel 57, il pretore Caio Memmio in Bitinia,
esattamente il dedicatario del "De rerum natura" di
Lucrezio. Laggiù, in Asia, il giovane C. entrò in contatto con
l'ambiente intellettuale dei paesi d'Oriente; fu probabilmente
dopo questo viaggio, dopo essersi recato alla tomba del fratello
nella Troade per compiangerlo, che compose i suoi poemi più
sofisticati, una volta tornato in patria. Il ritorno e la morte.
C. tornò dal suo viaggio nel 56, e si recò nella villa di
Sirmione, dove trascorse gli ultimi due anni della sua vita,
consumato fisicamente da un'oscura malattia (mal sottile?) e
psichicamente dalla sfortunata esperienza d'amore e dal dolore per
la morte del fratello.
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