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Uno
storico dell’arte cui venga chiesto di pensare ad opere scolpite
riguardanti l’amore non potrà lasciare fuori da un ideale
elenco tre nomi fondamentali: Gian Lorenzo Bernini, Antonio Canova,
Auguste Rodin.
Ognuno di questi tre artisti ha creato una o più opere che ancora
oggi mantengono tutta la loro potenza visiva.
Riferendoci a Bernini scultura emblematica è l'”Apollo e
Dafne” della Galleria Borghese (1622-25), commissionato dal
cardinale Scipione Borghese. L’opera originariamente era
collocata nella stanza della villa in cui si trova ancora oggi, ma
in origine stava su una base più bassa e ristretta (oggi è su un
blocco scolpito da Vincenzo
Pacetti
nel 1785 per Marcantonio IV Borghese). Il capolavoro riproduce
fedelmente un preciso passo della storia del dio del sole che
rincorre la ninfa che da lui fugge, narrata nelle Metamorfosi di
Ovidio (I, 450-567). L’attimo rappresentato da Bernini è quello
in cui la giovane fanciulla, dopo aver pregato Giove di salvarla,
viene tramutata dal padre degli dei in una pianta d’alloro
proprio nel momento in cui Apollo la raggiunge. La corteccia
avvolge gran parte del corpo, ma la mano di Apollo, secondo i
versi di Ovidio, sotto il legno sente ancora il battito del cuore.
Bernini, grazie ad una sapiente tecnica riproduce esattamente
questo particolare, lavorando la parte di corteccia in maniera
talmente virtuosistica da realizzare una sottile sfoglia di marmo.
La presenza di questa favola pagana nella casa del cardinale venne
giustificata da un distico moraleggiante in latino e inciso nel
cartiglio sulla base, che recita: “chi ama seguire le fuggenti
forme dei divertimenti, alla fine si trova foglie e bacche amare
nella mano”.
Proseguendo il nostro percorso ci soffermiamo su un’altra
scultura notissima, quale “Amore e Psiche” del Louvre
(1787-93). L’opera fu realizzata da Canova in due versioni:
l’altra terminata nel
1796
è oggi all’Ermitage di San Pietroburgo. Eros sta baciando
Psiche per risvegliarla da un lungo sonno. Il mito racconta che
Cupido fece rapire la bellissima giovane da Zefiro, promettendole
di poter vivere con lei finché non tentasse di scoprire la sua
identità. Quando questo avvenne, Amore scomparve. Dopo aver molto
sofferto, la fanciulla fu assunta in cielo dove le venne conferita
l’immortalità da Zeus.
Il gruppo scolpito da Canova si presenta come un perfetto
organismo plastico, le cui direttrici compositive formano una
grande "X", il centro della quale è costituito dalle
due bocche che stanno per baciarsi. Tutta l’opera appare come
mossa da un ritmo lento e complesso appena interrotto dallo scatto
improvviso delle ali di Amore. Le mani premono sulle levigate
superfici marmoree di una materia che si è fatta dolce e duttile.
La poetica dell’artista di Possagno tocca, con quest’opera,
uno dei momenti più alti della sua evoluzione, grazie anche al
supporto di una tecnica sopraffina che permette allo scultore di
esprimere una contenuta passione sensuale di due corpi che
sembrano sul punto di cedere al desiderio.
La terza scultura è “Il bacio” (1888-89) custodito nelle sale
del museo Rodin di Parigi. Il tema della coppia è un inesauribile
fonte di idee per Rodin. La scultura è ispirata alla coppia
dannata di Paolo e Francesca per la “Porta dell’Inferno”,
forse il complesso scultoreo più famoso dell’artista francese.
Fu il governo francese a finanziare “Il bacio”, in scala
monumentale, per l’Esposizione del 1889. Ma quando Rodin espose
il gruppo, e ciò avvenne solo nel 1898 insieme alla statua di
Balzac, non fu molto soddisfatto, ritenendola un’opera molto
accademica. Persino il poeta austriaco Rilke, per qualche tempo
segretario di Rodin, non espresse un giudizio convincente:
“L’abbraccio del Bacio è senz’altro grazioso, ma non ho
trovato niente in questo gruppo. Si tratta di un tema trattato
secondo la tradizione; un soggetto in sé completo, ma isolato dal
mondo che lo trascina”. Grazie alle sue forme equilibrate e alla
sensualità del tema, l’opera portò comunque molta fortuna al
suo autore. |
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